Tunisia su una Fireblade, il rientro.
Ciao a Tutti,
sono a casa, ho appena svuotato le valige, mangiato il primo piatto di spaghetti. E’ davvero la fine. Il viaggio è terminato e io non riesco ancora a farmene una ragione. E’ forse perché sento ancora vicino il profumo della sabbia, vedo tuttora il caldo colore dell’erg davanti ai miei occhi.
Viaggiare è forse questo? Sentirsi in quel limbo tra partenza e arrivo? No. Un viaggio credo non abbia una vera e propria meta, i miei perlomeno non ce l’hanno quasi mai. Quindi un viaggio non può avere un arrivo, ma piuttosto può avere una boa, un punto dove per forza di cose bisogna voltare lo sguardo verso i propri passi e ripercorrerli. La boa è il momento di recuperare chilometri verso casa, il nostro paese dove aspetta la famiglia, il lavoro e il cassetto che contiene la voglia di ripartire. Quel cassetto lasciato aperto il giorno della partenza, mai chiuso. E badate bene dal farlo.
La boa di questo viaggio in Tunisia l’abbiamo raggiunta: Le Dune del Bibene.
Si tratta di una catena di sabbia insidiosa che separa Douz da Ksar Ghilane, vi si arriva imboccando una traccia oltre l’abitato dell’oasi, dopo novanta chilometri di pista. Guardando a sud di Douz, florida oasi del sud Tunisino, si vede solo sabbia, un maremoto di sabbia – E’ il grande Erg orientale, le prime dune, le più fitte e insidiose fanno da tappeto rosso alle grandi catene dunarie del sud. Lì le creste raggiungono i duecento metri d’altezza e lo spazio interdunario raggiunge la conformazione tipica di quello Libico, vasto e poco mosso, quasi piatto. Ma questa è un’altra storia.
Noi il nostro tappeto rosso l’abbiamo percorso con la moto che volevo, una Honda Fireblade strappata dalle piste, e non quelle Africane. Non la diretta per Ksar Ghilane su cui abbiamo poggiato le nostre ruote.
La CBR era sulla carta un mezzo totalmente inadatto, così dichiaravo alla partenza e, prendendo il via con un po’ di ritardo rispetto a quanto pianificato, anche la stagione lo è diventata. In questo periodo la sabbia è calda, diventa meno compatta, molto più insidiosa da percorrere con una moto da enduro, figuriamoci con un mezzo da strada, senza gomme tassellate e perdipiù carica di bagagli e vettovaglie. Ma, era poi così inadatto questa motocicletta? Certo che lo era. Non voglio mettere indubbio la cosa. Ma allora? Noi avevamo dalla nostra parte la voglia di viaggiare, di scoprire, di arricchire la conoscenza del territorio, della sua gente, avevamo con noi la consapevolezza della forza che il deserto nasconde, e di cui bisogna aver rispetto. E così alla fine quelle dune le abbiamo oltrepassate.
Viaggiando, e non correndo, gli ostacoli si sono trasformati in luoghi da capire, i momenti difficili, minuti di concentrazione, istanti in cui ci è stato chiaro che con il deserto non si scherza, ma che il deserto non ti inganna se lo assecondi. Tornare sui nostri passi, rinunciare al percorso e riprendere la direzione di casa senza varcare quella montagna di sabbia non sarebbe stata una sconfitta, ma una vittoria. Ma ci siamo riusciti, la boa è sempre stata lì, e a Ksar Ghilane, puntino verde tra le dune, ci siamo arrivati.
Un viaggio ti fa portare a casa il tassello di un mosaico che non ha mai fine, il disegno che compone forse è quello descritto da una frase pronunciata da Gandhi: Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre. Una frase che ha il viaggio nel DNA, una frase che porto nel mio sangue.
Ora ho voglia di mantenere vivo il ricordo di questo viaggio scrivendo, e so già che lo farò da domani se non stasera.
Un doveroso grazie, con un grosso bacio a Lucia, che non mi ha mandato a cagare quando ho deciso di partire con questa moto.
Trovate qualche altra foto qui: http://www.advrider.it/archives/1905
Italiano pazzo. Italiano può essere che ce la fa. Frase detta da un amico di Douz prima della partenza.