Elba Tour – EccezzzZZZzzziunale veramente!!
Ore 17.23, Piombino, primi di Settembre, una splendida giornata di sole.
Dopo trecentocinquanta chilometri, la discografia completa di Vasco e un paio di redbull siamo qui, a cinquecento metri dal porto, fermi alla rotonda dove c’e’ un panettiere che come direbbe mia madre : “Ah! Sono quelli di una volta.” Quelli che quando sei a passeggio ti attirano con il profumo della pizza. Quelli che a trecento metri dalla vetrina ti hanno gia’ stregato con l’aroma del pane appena sfornato.
Ma non ci siamo fermati per mangiare, anche se la tentazione e’ fortissima. No, spengo l’iPod e mi scapicollo dentro la tanto agognata bilglietteria. Ci siamo fermati per fare un biglietto di sola andata per l’Elba.
Siamo partiti senza prenotazioni, senza posto, ne per noi e ne tantomeno per la moto.
Ma siamo a settembre, che problemi vuoi che ci siano per due moto e due cristiani. Brutti, sporchi, perdipiu’ motociclisti, ma solo due. No, che problema vuoi che ci sia.
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Ho un sacco a pelo, la tenda e i ricambi per la moto. Assieme a me Carlo col suo pulitissimo Transalp che affiancato alla mia Africa Twin quasi ventenne, sembra una bimba. Lei di un grigio metallizzato che non mette il minimo dubbio in merito alla giovinezza della moto. La mia : bianca, rossa e blu. Accostamenti di colori come non se ne vedono da anni. Appunto venti.
Tra le due moto sembra esserci quel rapporto di riverenza e rispetto che c’e’ tra padre e figlio. Un rapporto di reciproca consapevolezza che il passato e’ qualcosa da cui dobbiamo sempre e comunque imparare.
Parcheggiate sul cavaletto laterale fronte agenzia viaggi sembrano entrambe vogliose di destinazioni senza ritorno.
Noi ci limitiamo ad un biglietto per una traghettata che durera’ solo un’ora. L’isola d’Elba, un fazzoletto di terra nostrana che in pochi chilometri di costa confina tanti panorami da favola e tantissimi sentieri dove sporcare le nostre motociclette.
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Ore 17:24, tra me e l’addetta ai biglietti c’e’ una famiglia intera di turisti Italiani.
Stanno discutendo animatamente tra loro, mi sembra di capire che abbiano dei problemi con la loro prenotazione. Scartabellano la busta della Moby con dentro il biglietto e lo sventolano sotto il naso della povera signora al computer cercando di farsi cambiare la prenotazione. Lei risponde cortesemente : “Non c’e’ posto, non c’e’ posto”. Questi non ne voglio sapere di capire, e tergiversano.
La signora mi guarda con lo sguardo disperato e io le faccio segno alzando le dita tra le loro teste indicandole : “ due biglietti “ supportato dal labbiale.
La signora coglie l’occasione per scrollarsi di dosso la famiglia e mi dice che c’e’ il primo traghetto tra 6 minuti. Stampa in fretta e furia ma ahime’ non si dimentica di farci pagare. Sessantadue euro. Che mazzata.
Ore 17:25, sono sulla moto col motore acceso e la busta dei biglietti tra i denti. Carlo mi segue.
Facciamo due curve e siamo in vista degli imbarchi. Avvisto da lontano la nave con la prua completamente alzata. Spalanco il gas e sprigiono sull’asfalto i quarantotto cavalli della mia RD03.
Ore 17:28, siamo ancora in tempo. Con due belle gocce di sudore sotto agli occhi arriviamo davanti all’ingresso della nave, quando l’addetto al carico ci guarda malissimo. “Correeetteee, sempre in ritardo voi motociclisti”. Iniziamo bene. Non ce lo facciamo dire due volte, da come m’ha guardato temo veramente ci voglia lasciare a terra e saliamo.
Ore 18:00, il suono della sirena sancisce la chiusura dei portelli, si parte. Ce l’abbiamo fatta. Sono comodamente seduto per terra, con gli stivali da enduro aperti e il casco che mi fa da schienale quando sento la nave muoversi.
E’ la seconda volta che la mia Africa prende un traghetto. La volta precedente eravamo tra Helsinki e Tallin, di ritorno da Murmansk. Da allora e’ passato circa un mese. Il mare Italiano e’ completamente differente da quello visto nel nord Europa, per non parlare del cielo. Blu e caldo, confrontato con quello nuvoloso e umido scandinavo.
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Per quanto mi piacciano i viaggi, per quanto mi piaccia allontanarmi da casa e dall’Italia devo ammattere che il fascino del nostro paese non ha eguali. Muovermi nella nostra terra apprezzandone la fantasia, la storia, la varieta’ di panorami e di gusti mi rende orgoglioso d’essere Italiano. Poi, per tanti versi me ne vanto poco, anzi la voglia di non tornare a casa durante un viaggio m’assale spesso, ma questa e’ tutta un’altra storia.
Faccio una telefonata a Lucia che questa volta non ci raggiungera’ in sella alla sua moto, dato che sara’ acompagnata da sua madre. Questo week-end, ne approfittera’ per farsi trasportare sulla mia motocicletta ed apprezzare a pieno le doti d’enduro da famiglia della mia Africona. Ci raggiungera’ domani, io e Carlo questa notte la passeremo in tenda.
Sbarchiamo in perfetto orario. Siamo al tramonto. Ci spostiamo verso Capoliveri, dove ci aspetta il campeggio. Mi piace mettere le ruote sulle strade sterrate, ma come disdegnare le fantastiche curve e i tornanti a picco sul mare dell’Elba se pur asfaltati. Facciamo pochissimi chilometri in linea retta e arriviamo alla bellissima spiaggia dell’Innamorata. Qui cerco uno dei sentieri che vorrei percorrere domani e a ridosso della montagna mi pare di vederlo. Sta calando il buio, vorrei fare ancora qualche curva, ma dobbiamo montare la tenda. Non ricordo quando l’ho chiusa l’ultima volta, ma certo non sono stato a ripulirla piu’ di tanto. Per quanto ne so potrebbe esserci ancora dentro un lemmings Norvegese. Meglio sfruttare la luce del tramonto prima di ritrovarselo nel sacco a pelo. Dopo uno sguardo al panorama torniamo verso Morcone. Lucia che ha la casa qui mi ha detto che il campeggio si trova a picco sotto casa sua. Io ci guardo ma non vedo nulla. Bo! vedo una strada sterrata. Inconsciamente lo so che non puo’ certo portare al campeggio. Ma il tentativo vale qualche centinaio di metri d’enduro Elbano prima della cena. Perche’ privarsene?
Chiaramente la stradina porta a casa di qualcuno. Facciamo una silenziosa inversione e torniamo sulla strada principale. Ormai la luce del tramonto e’ diventata il buio della notte. Dopo un paio di ricerche senza successo troviamo la direzione del campeggio.
Appena mettiamo le ruote nel camping mi rendo conto che e’ pieno. Guardo Carlo che penso stia cominciando ad aver fame oltre che il culo quadrato e sentire la voglia di una doccia. Lui contraccambia il mio sguardo facendosi il segno della croce. Speriamo ci sia posto.
Il gestore ci accoglie a braccia aperte e ci fa vedere il luogo dove potremo montare la tenda. Facciamo pochi passi e siamo difronte ad una piazzola brecciolosa che ha l’aria d’essere dura come la ghisa. Guardo il gestore con lo sguardo di Arnold sperando che s’impietosisca. Lui capisce al volo. Sorride. Io penso e’ fatta, ci porta davanti ad un prato morbido ed accogliete. Lui allarga il sorriso : “Mi dispiace. c’e’ solo questo. “ Merda, un’incudine caduta dalla montagna sulla testa m’avrebbe fatto meno male. Vabbe! Non perdiamo tempo, ci mettiamo a montare pregustandoci una “grassa cena”.
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Sveglia alle otto, non si puo’ perdere tempo. Sistemo i ricambi sul portapacchi posteriore e partiamo. Ci dirigiamo subito verso la prima strada sterrata che sale dalla spiaggia dell’Innamorata. Chiaramente quella che avevo visto ieri sera era la strada sbagliata. Sara’ stata la fatica, sara’ stata la voglia di sedermi con le gambe sotto ad un tavolo carico di frutti di mare. Sara’ stata la voglia di andare in moto, ma quel sentiero a picco sul mare non era certo la strada bianca che mi ricordavo.
Ed eccomi colpito da un flashback. E’ passato un’anno. Il clima era lo stesso, il cielo blu, le nuvole assenti. Il profumo dei pini e del finocchio. La cena a base di pesce, il rumore dei gabbiani. Anche il colore della sterrata che sto percorrendo me lo ricordo bene, quel forte contrasto delle rocce rosse con la vegetazione circostante. Cosa non mi torna? ah! Si, la scorsa volta cavalcavo una moto differente. Un’anno fa portai qui la mia Superenduro nuova di zecca.
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All’epoca il suo contachilometri sengava giusto la distanza tra qui e Firenze. Sospiro come ricordando un’amore adolescenziale. Oggi sono qui con un’altro amore, molto piu’ maturo. Non la moto. Quella ci vuol poco a giudicarla matura, e’ quasi d’epoca. No, maturo l’amore. Un’amore pensato, sofferto a causa della precendente separazione, ma poi vissuto intensamente. Un’amore nato tre mesi fa, sulle ceneri di una costosissima KTM. Un colpo di fulmine scoccato tra me e quest’ Africa twin che m’ha portato in cima all’europa.
Guardo il contachilometri, segna 54.000 Km. Quasi ventimila in piu’ di quando la presi qualche mese fa. Chissa quanti chilometri ha realmente. Quanto picchierei quel macellaio che le ha quasi sicuramente scalato la vita. Mi sembra un’assassinio bello e buono. Privare una moto della gloria dei suoi chilometri. Privare questa vent’enne di migliaia di chilometri d’esperienze. Io sulla mia moto non lo farei mai. Attaccare un pistolino al cavo del contachilometri per farlo tornare indietro nel tempo mi sembrerebbe come cancellare il ricordo della bellissima strada che sto percorrendo in questo momento. le pietr che sto evitando, la vista del mare, la lepre che m’ha appena tagliato la strada. Stronza.
Gia’ e’ passato un’anno e ora mi trovo per la prima volta a percorrere le stesse strade che con il cuore in mano avevo solcato con la mia prima moto nuova.
Penso subito che in questi primi chilometri di “confronto” emergeranno tutte quelle caratteristiche ciclistiche che facevano di quella KTM una gran moto da enduro.
Mentre seguo Carlo con gli occhi m’accogo di una curva con un muretto di mattoni. M’assale fortissimo il ricordo. Imposto questa curva con chiaro in mente il momento in cui la feci con la SE. La moto s’inserisce in maniera precisa. Un colpo d’accelleratore e automaticamente chiudo la curva. Da quel colpo di gas saranno usciti un quinto dei cavalli che avrei sprigionato con la SE, ma la libidine e’ inversamente proporzionale alla potenza. Improvvisamente m’accorgo d’aver una mandibola bloccata in posizione sorriso. Curva dopo curva mi diverto sempre di piu’. Non era certo la prima uscita enduristica con questa Honda, ma questa ha indiscutibilmente un fascino particolare. Quando iniziamo il primo tratto un po’ piu’ tecnico mi preparo al peggio : ”Ecco adesso verro assalito dal ricordo della KTM, mi tirero’ delle mazzate sulle palle come solo tafazzi sapeva fare.”. Prendo il primo dosso e la moto salta precisa. Atterra appoggiandosi senza il minimo sbacchettamento. Le forcelle aiutate dalle molle che m’hanno regalato gli amici rispondono in maniera sublime. Mi ridono anche le chiappe.
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Da questo momento smetto di pensare a questo pseudo confronto, a questa sorta di comparativa degna d’una rivista del settore e a godermi il viaggio con la mia nuova amata. Penso comunque tra me e me a quanto sarebbe bello fare un prova comparativa seria tra una moto moderna e una moto ciclisticamente e motoristicamente perfetta come la mia Africa Twin.
Carlo mi segue senza problemi, la sua Transalp e’ senza le gomme tassellate. Ma si muove agevolmente.
In un paio d’ore percorriamo circa cinqanta km e raggiungiamo Lacona. Qui ci sono delle bellissime tagliafuoco. Provo a lanciarmi su una di queste , ho voglia d’esplorare un tratto che la scorsa volta non avevo percorso. Come un trattore risalgo la pista. lentamente, sentendo il motore e le gomme scalciare le pietre. La moto prosegue dirtta come un fuso. Mi domando come cavolo faccia. Io non sono certo l’artefice di questa facilita’ d’uso. Io in fuoristrada ci vado da pochissimo. Mi diverto m’appassiona, ma non sono certo bravo. Eppure sta moto sembra muoversi da sola, con l’accelleratore ad un quarto di giro, la prima inserita risalgo senza problemi questa bella tagliafuoco. Faccio un giro nel prato. Guardo Carlo a valle. E’ piccolo, piccolo. La salita era bella ripida e voltandomi indietro mi stupisco della semplicita’ con cui sono salito. Controllo la data, siamo nel 2007 non siamo tornati indietro nel tempo. Questa moto ha veramente vent’anni. Scendo per falre una foto. La guardo con quel sorriso da ebete che ormai non riesco piu’ a farmi andar via. Lei sembra strizzarmi un faro come per rispondermi. Che si stia comportando cosi’ perche’ sente odor di sfida? Be’ mia cara. Smetti pure perche’ hai vinto.
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L’isola e’ piena di ciclisti. I sentieri che ci fanno impazzire in moto sono un paradiso anche per gli amanti della mountain bike. Sfortunatamente oggi non siamo molto compatibili. Sembra che i ciclisti piu’ incazzosi e fondamentalisti nei confronti di chi rispetta la natura seppur in sella ad una moto siano tutti qui. Di solito enduristi e ciclisti si rispettano, oggi devo essere particolarmente sfortunata. Anche quando mi fermo per affrontare lentamente le curve cieche mi prendo sistematicamente dello stronzo. Chiaramente stiamo percorrendo tutte strade aperte alla circolazione, ma certa gente evidentemente ci vede come dei teppisti quand’anche ci stiamo muovendo in regola.
Decidiamo quindi di prendere un bellissimo sentiero lastricato che ci porta nei pressi di porto Azzurro. Questo tracciato in quota e’ particolarmente indicato a chi soffree di problemi di circolazione. Le rocce e i gradini fanno tremare talmente tanto le nostre moto da essere un vero e proprio test di resistenza. Chiaramente qui i ciclisti non ci vengono. Temo che percorrere questo tratto in bici sia impossibile. Per me’ e’ una vera goduria. La moto viaggia come sospesa sulle rocce. Le mie ruote corrono in un binario come quello dei tram Milanesi, mi guida lungo il sentiero facendomi provare l’ebrezza del galleggiamento. Che spettacolo.
Torniamo a valle, prendiamo la via del ritorno. Ci aspetta Lucia. E’ appena arrivata con sua madre. Appena la vedo mi chiede subito : “Com’e’ andata l’Africona? “. Non c’e’ bisogno di risposta. Guarda prima la moto, tutta impolverata. Poco fango, quei pochi schizzi sono dovuti alle tre pozzanghere in cui mi sono infilato un paio di volte. Guarda la mia faccia. La paresi facciale indica chiaramente stato di libidine permanente. Mi sono divertito alla grande, c’e’ poco da dire. Pranziamo assieme e ripartiamo subito dopo aver fatto un bagno. Il primo della stagione, a Settembre.
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Lucia si siede dietro di me. Percorriamo un po’ di sterrate finche non raggiungiamo un bel pezzo tecnico con delle grosse rocce. Qui uno dei paraoli delle forcelle del Transalp di Carlo smette di vivere. Non c’e’ da stupirsi. Per affrontare un gradino prende a manetta la roccia e la moto s’impenna d’un metro, un metro e mezzo, forse due. Insomma non so, io non ho visto e chiaramente i racconti del protagonista e di Lucia che lo stava guardando, superano i limiti dell’immaginazione umana.
Procedo tra i rami del bosco divertendomi alla grande. Il sentiero diventa un sigle track tortuosissimo. Le rocce affilate sembrano essere messe nella posizione giusta per tagliare a fette le gomme. Lucia mi intima urlando ad ogni curva. “Rallentaaaaaa. Pianooooo…. fammi scendere. “ io sono preso come da un raptus di follia. Pure in due. Su un terreno non facilissimo questa moto pare non fermarsi davanti a nulla. Come direbbe Abattantuono in un bel vecchio film che forse ha l’eta’ della mia moto : “EccezzZZzzziunale Veramente”
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